Persecuzione in Italia

di Roberto Bracco




Questo lavoro è stato tratto dal sito della "Comunità Evangelica Pentecostale" dell'"Assemblea Cristiana Evangelica Chiesa ALFA e OMEGA" all'indirizzo web:
http://www.chiesadiroma.it/index.htm alla pagina interna: http://www.chiesadiroma.it/RBracco/Persecuzione/persecuzione.htm



Capitolo 8: Carcere giudiziario



1. Un'amnistia provvidenziale

1a. Un nuovo arresto

1b. La Parola di Dio in prigione con noi




1. Un'amnistia provvidenziale

Venne un periodo che sembrava di tregua per la chiesa: un'amnistia ampia e generosa interruppe la mia condanna a due anni di sorveglianza speciale; i confinati tornarono alle loro case; altri, come me, furono condonati e tutti assieme trascorremmo diversi giorni di gioia purissima nella comunione fraterna.

Molte famiglie riabbracciarono i loro cari, esiliati lontano; altre spensero la trepidazione che li teneva in ansia per il loro congiunti sottoposti a libertà vigilata, condanna che mantiene continuamente, coloro che sono sottoposti ad essa con un piede nella prigione e con uno fuori, e tutta gioimmo per le catene infrante e per la consolazione di rivedere molti fedeli lungamente separati da noi ha causa del loro confinamento.

Sembrava che fosse giunta, se non la fine, una lunga tregua alla persecuzione, ma pochi giorni furono sufficienti a convincerci del contrario.

Mi trovavo in una di queste serate gioiose in casa della famiglia L... per presiedere una riunione di culto.

Il padre e la figlia maggiore erano tornati recentemente dal confino; egli si trovava in quella sera seriamente ammalato, mentre sua figlia si era recata a presenziare una riunione di culto che si teneva in un quartiere basso della città.

In casa c'era soltanto la mamma che accolse estesamente tutti i fedeli che affluiranno nella sua abitazione.

Malgrado la malattia del marito era piena di gioia. Non solo aveva abbracciati i solitari tornati dal confino, ma per il giorno successivo attendeva anche il ritorno delle sue due figliole minori che terminavano precisamente quel giorno la loro pena carceraria di tre mesi ciascuna.

Queste due giovani sorelle avevano avuto questa condanna perché giudicate colpevoli di trasgressione alla " sorveglianza speciale " ed avevano trascorso gran parte della loro detenzione in celle in comune, unite a donne criminali della peggiore specie.
Esse avevano incontrato questa prova per presenziare una riunione di culto.


Ma ormai la condanna era giunta al suo termine, i tre mesi erano trascorsi; la famiglia, dopo varie ed avventurose vicissitudini, tornava a comporsi e perciò la vecchia mamma era traboccante di serena gioia cristiana.

1a. Un nuovo arresto

I diversi fedeli si sistemarono meglio che potevano nella non molto grande cucina, che rappresentava il vano della casa più distante dalla porta di ingresso (generalmente si usavano queste precauzioni per non far udire rumori all'esterno) ed io aprii il servizio di culto.

Innalzammo sommessamente alcuni inni, poi, prostrati in preghiera, elevammo le nostre lodi e le nostre richieste; ancora un inno e quindi alcune testimonianze.
Dopo queste, iniziai il sermone: lessi il salmo 144 e presi come testo i primi due versi.

Ma ero solo all'introduzione, quando un trillo prolungato, oltre ogni convenienza, del campanello mi fece comprendere che qualche cosa stava avvenendo; comunque, non mi interruppi, ma potetti pronunciare solo poche altre parole, perché un clamore di voci concitate e di passi frettolosi arrestò il sermone sulle mie labbra.

Dalla porta una voce sonora e stizzosa esclamò: «È Bracco che parla».

In pochi minuti la casa fu letteralmente invasa da un intero drappello di agenti di polizia. Io li conoscevo quasi tutti perché venivano dal commissariato del quartiere nel quale io abitavo.

«Seguiteci!» fu il comando imperioso. Era inutile indugiare; ci mettemmo in cammino e in pochi minuti ci trovammo tutti nei locali del commissariato.

Incominciarono le pratiche alle quali ormai eravamo tanto abituati e comprendemmo subito che le intenzioni del commissario erano delle più severe. Infatti io, unitamente a quattro fratelli (uno poi fu rilasciato la mattina seguente) e la vecchia mamma unitamente ad una sorella, fummo trattenuti e portati al piano terreno per essere internati nelle camere di sicurezza.

Mentre attendevamo pazientemente il disbrigo delle pratiche relative alla nostra carcerazione, scese a vederci un arcigno funzionario col quale molte volte avevo avuto relazioni, in conseguenza della persecuzione, e che sempre mi era apparso un terribile mastino.

Egli mi guardò e poi mi disse duramente, ma con una sfumatura di benevolenza.
«Bracco ti sei rovinato!»

Il mio aspetto, tutt'altro che spaventato, dovette però convincerlo che non ero un individuo completamente equilibrato e perciò senza aggiungere altro ci voltò le spalle e si allontanò.

Poco dopo fummo chiamati dagli agenti di custodia e fummo invitati a toglierci le correggie delle scarpe e dei pantaloni e a depositare tutto quello che avevamo nelle tasche.

1b. La Parola di Dio in prigione con noi

Io avevo, assieme ad altre cose, una copia del Nuovo Testamento e Salmi e quello mi doveva servire per esperimentare la fedeltà di Dio.
Infatti nel periodo che tutti i fedeli cucivano pagine della Bibbia nell'interno dei loro abiti o l'incollavano fra le suole delle loro scarpe per avere la gioia di poterle portare nell'interno delle prigioni ove era impedita, nel modo più assoluto, la lettura delle Sacre Scritture, io mi ero rifiutato di seguire queste misure di previggenza ed avevo ripetutamente dichiarato:
«Sento che Iddio mi aiuterà a portare la Sua parola anche lì dove è combattuta».

Io perciò lasciai il mio piccolo Nuovo Testamento nel taschino.

Ultimato l'inventario degli oggetti consegnati, si avvicinò a me un graduato di polizia per sottopormi alla perquisizione prescritta. Palpò i miei abiti, le mie tasche e giunse con la sua mano al taschino ove avevo lasciato il prezioso libricino.

«Questo non si può tenere!» mi disse risolutamente.

«È semplicemente una copia del Nuovo Testamento» risposi io con una ingenuità naturalissima in quel momento.

Non mi rispose, continuò il suo esame, giunse per la seconda volta con la sua mano al taschino rigonfio e solo allora ripeté:
«Questo non si può tenere!» «Ma è la Parola di Dio», insistei io con semplicità.

L'agente fu vinto, mi aprì la porta della prigione e mi invitò ad entrare.

Varcai la soglia della camera squallida e sporca con una gioia nel cuore: avevo la Sacra Scrittura con me.

I miei compagni mi seguirono dopo poco ed assieme dividemmo la gioia della vittoria e dividemmo anche il digiuno e l'insonnia. Non ci diedero da mangiare e non riuscimmo a dormire su quell’unico letto comune di tavole infisse nel muro, senza materasso e con una sola coperta sdrucita e sudicia.

Il giorno seguente, alle prime luci dell’alba, ci sentimmo chiamare e con nostra somma sorpresa udimmo la voce della sorella tornata da poco dal confino.


«Dove ti trovi?» chiedemmo.

«Nella cella accanto alla vostra».

«Come mai?»

«Ieri sera tardi»
, ella ci disse, «tornarono nuovamente gli agenti di polizia per arrestarmi quale corresponsabile del!a riunione alla quale io ero assente. Volevano arrestare anche il babbo», ella continuò, «ma la sua grave malattia lo rendeva intrasportabile».

Continuammo la conversazione fino ad una interruzione patetica.


Le figliuole dimesse dal carcere, trovata la casa nel disordine e nell'abbandono e appreso il motivo della presentita sorpresa (mentre compivano il viaggio di ritorno avevano ricevuto un avvertimento nello Spirito), giunsero al carcere per vedere e baciare la sorella e la mamma. Fu loro consentito per pochi istanti e così interruppero brevemente la nostra conversazione.

Giunse il pomeriggio, la porta improvvisamente si aprì:
«Si esce?» ci domandammo meravigliati.

La nostra meraviglia era delle più legittime, perché quel «si esce» si riferiva semplicemente ad un trasferimento dalla cosiddetta “camera di sicurezza” al “carcere giudiziario”.

Ci restituirono frettolosamente e alla rinfusa gli oggetti che avevamo depositati e ci spinsero fuori, sotto scorta armata, ove era ad attenderci un carrozzone chiuso, in lamiera grigio-verde.

Fummo tutti presi in consegna da altri agenti di polizia e caricati, come merce fuori uso, sopra il carrozzone già gremitissimo di criminali prelevati nei diversi quartieri della città.

Nella strada erano ad attenderci un gruppetto di cristiani che vollero tributarci da lontano il loro saluto affettuoso e fraterno.

Il carrozzone fece un giro vizioso per la città e finalmente raggiungemmo il detto carcere giudiziario che ci doveva accogliere.

Furono prima “scaricate” le donne nel reparto riservato a queste e lì ci salutammo con le sorelle incoraggiandoci vicendevolmente nel Signore.

Quindi venne il nostro turno; il carrozzone varcò un cancello; poi un altro, un altro ancora e si fermò. Scendemmo insieme a coloro che erano diventati i nostri compagni e a piedi oltrepassammo altri cancelli, altre porte di ferro fino agli uffici ove si dovevano compiere le formalità d’uso:

Impronte digitali. Generalità. Versamento del denaro.


Fummo quindi condotti in una piccola cella per il versamento degli oggetti proibiti. Versammo correggie, spille, fibbie e quanto avevamo nelle nostre tasche. Successivamente ci fecero denudare perché gli indumenti potessero essere sottoposti ad un controllo accurato.
Tutto, tutto fu ammucchiato su un tavolo davanti agli occhi nostri.

Fummo invitati a rivestirci; non appena ultimata questa operazione, io stesi con naturalezza la mia mano per riprendere il mio Nuovo Testamento.

«Non puoi prenderlo!» mi disse il capo guardia senza asprezza.

«Perchè?» – chiesi - «È la Parola di Dio»

E nel dire così mostrai il libricino aperto al frontespizio.

Il severo funzionario accolse la mia naturalezza con benevolenza e mi rispose: «Lascialo ora, te lo porterò poi in cella». E quell'uomo fu verace. Iddio aveva premiata la confidanza che io avevo riposto nel Suo aiuto onnipotente.

Ci accompagnarono in un magazzino e ci caricarono del nostro corredo carcerario: coperta, lenzuola, scodella di alluminio, cucchiaio e forchetta di legno, bicchiere di alluminio ecc.

A notte inoltrata facemmo il nostro ingresso nella nostra nuova residenza.


Vale la pena descriverla: una cameretta lunga m. 3, 50 e larga m. 1, 50; fornita di tre piccole brande in ferro e quattro piccolissimi materassi ripieni di paglia. Una finestra in alto con sbarre di ferro robustissime e con persiane di legno volte in alto, uno sgabello di legno e in un angolo un grosso vaso di terracotta.
Nel mezzo, sospesa ad un filo elettrico, una lampadina colorata blu.


Quella la nostra dimora per 23 ore del giorno. Un'ora del giorno infatti è riservata per far prendere "aria" ai carcerati e questo avviene in cortiletti umidi e ombrosi, e le altre 23 ore devono trascorrere nella cella dove non esiste un gabinetto, non esiste acqua corrente, ove non c'è aria sufficiente e ove non c'è neanche spazio sufficiente per muoversi.


Eppure tutto deve compiersi lì, a detrimento del pudore, dell'igiene, del morale. Noi ci accorgemmo dell'esistenza di tre brande e facemmo notare la mancanza della quarta, ma la guardia ci spiegò che lo spazio non consentiva l'esistenza di una quarta branda.

«Se volete», aggiunse, forse con dispetto, «uno di voi può essere trasferito in altra cella».

Preferimmo rimanere uniti e presto ci accorgemmo che fra il dormire in terra e il dormire sopra la branda non c'era differenza. La durezza era identica, gli insetti erano abbondanti in ambedue questi luoghi.

In quei giorni si trovavano nel medesimo carcere diversi fratelli condannati precedentemente ed esclusi dall'amnistia; cercammo subito, a mezzo dei secondini, di inviare loro dei messaggi, ma fu una fatica inutile, perché tutti si rifiutarono di prestarsi e tutto quello che potemmo fare fu solo di scambiarci una o due volte un poco di cibo che provvidenzialmente avevamo ricevuto dall'esterno. Dico provvidenzialmente, perché la minestra giornaliera e le due pagnotte di pane, che ci venivano date ogni giorno non erano assolutamente mangiabili.

I giorni trascorrevano lentamente e con monotonia che sarebbe stata opprimente se la presenza della Scrittura non ci avesse offerta la frequente possibilità di interromperla.

Tutto si svolgeva meccanicamente e uniformemente: sveglia, pulizia della cella, rancio, controlli giornalieri e notturni delle sbarre, distribuzione dell'acqua, ritiro delle immondizie; tutta la vita è racchiusa entro queste cose che serrano la vita più di quanto possa fare la cella stessa.

Noi credenti naturalmente avevamo aggiunte a queste cose preghiera, lettura del Vangelo, conversazioni cristiane, e anche lì brillava il raggio luminoso della speranza e della gioia.

Giunse il giorno del processo; Dio intervenne in un modo prodigioso; fummo miracolosamente assolti; il giudice dichiarò, cosa eccezionale per quell'epoca, che pregare Iddio secondo i dettami della propria coscienza non costituiva reato.

Tornammo in prigione pieni di gioia per l'aiuto divino e, perché no, pieni d'ebbrezza per l'imminente liberazione, ma ci era riservata una sorpresa.


Nel pomeriggio non fummo posti in libertà.

Chiedemmo spiegazioni e ci fu risposto: «Siete stati assolti dal magistrato, ma ora siete a disposizione della Questura centrale».

Altre domande che rivolgemmo ci fecero sapere che la questura aveva il diritto di trattenerci in prigione, a propria disposizione, per la durata di sei mesi. Al termine di questo periodo poteva chiedere il nostro trasferimento in una camera di sicurezza per poi rimandarci il giorno seguente nuovamente al carcere; poteva così cominciare un altro periodo di sei mesi.

Con questa procedura burocratica potevamo essere trattenuti in stato di detenzione per anni ed anni. Questa esperienza ci fece vedere chiaramente quali siano le risorse di un regime prevalentemente poliziesco. Esso può operare sempre al di sopra dei diritti umani, delle leggi, della magistratura. La Sua potenza statale e terribile.


Ma Dio aveva cominciato ad operare ed egli non arresta a metà l'opera che vuole portare a termine. Non abbiamo mai saputo quello che fece l'Eterno in quei giorni, ma nel pomeriggio del giorno seguente eravamo nuovamente in libertà, accolti con gioia dai fratelli e tutti assieme allegri nel Signore.